Bordeaux: tra dinamiche urbane ormai consolidate e nuove professioni emergenti

Grazie al progetto Erasmus plus “Moving towards inclusion” realizzato dall’associazione Lisca Bianca, tra giugno e luglio ho avuto modo di conoscere la città di Bordeaux, in particolare per quanto riguarda i progetti legati ai temi dell’inclusione sociale, rigenerazione urbana e partecipazione cittadina.

Cominciamo con un po’ di contesto…

Bordeux è una città che negli ultimi venti anni, a seguito di un lungo periodo di inerzia, ha deciso di avviare imponenti trasformazioni. La posizione strategica sull’atlantico insieme al centro storico di notevole pregio (dal 2007 è stato dichiarato Patrimonio Unesco) ne fanno una città con tutte le carte in regole per entrare nell’alveo della competizione tra le città.

A tal fine le politiche urbane intraprese hanno cercato da un lato di rinnovare il centro città risistemando i principali spazi pubblici e migliorarne i servizi attraverso una rete capillare di trasporto efficiente e innovativo (il tram si muove in città senza fili ed è alimentato dalle rotaie), dall’altro di creare un nuovo asse di sviluppo della città lungo il fiume Garonna per mitigare il dislivello economico e sociale tra la riva sinistra e quella destra.

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Attualmente la popolazione è di 760.000 abitanti ma l’obiettivo della città è di raggiungere la cifra di 975.000 entro il 2030. Anche in funzione di ciò è in previsione la costruzione di 60.000 nuovi alloggi divisi tra dentro e fuori il perimetro urbano.

Le esperienze che abbiamo incontrato e conosciuto nel corso del nostro soggiorno hanno confermato questo fermento, le realtà che si occupano di partecipazione sono diverse e secondo modalità molto variegate. Partendo dalle esperienze nate dal basso spostandoci verso quelle più istituzionalizzate abbiamo incontrato:

  • Yacafaucon, associazione di vicini nel quartiere Saint-Jean/Sacré Coeur, che ha aperto un bar che organizza attività culturali (e non solo) molto accessibili economicamente e aperte a tutti i residenti. Il funzionamento dell’associazione è garantito dal lavoro volontario dei benevole (così si chiamano in Francia) e dalla presenza di due risorse umane impiegate a tempo pieno;
  • Rue Jardin Kléber, progetto promosso dal comune di Bordeaux e sviluppato dal giardiniere urbano Julien Beauquel all’interno del quartiere Marne Yser, caratterizzato da una cospicua comunità spagnola trasferitasi lì durante la seconda guerra mondiale, con l’obiettivo di trasformare la strada di rue Kleber in una strada giardino. L’intervento sembra essere scaturito da un processo partecipato svolto nel 2012 a seguito del quale il comune ha poi messo a bando il finanziamento per la realizzazione della via giardino. Nonostante questo Julien, che ha seguito il progetto per 3 anni ci racconta delle resistenze iniziali degli abitanti che temevano che l’intervento avesse come obiettivo implicito la gentrificazione dell’area;
  • Compagnons Batisseur, movimento associativo di educazione popolare che da più di cinquant’anni si occupa di percorsi di formazione e inserimento lavorativo, e di accompagnare gli abitanti di un quartiere con disagio abitativo all’autocostruzione e ristrutturazione delle proprie abitazioni. In particolare il progetto che abbiamo avuto modo di visitare ha sede in un quartiere situato lungo la riva destra del fiume, storicamente la parte più povera della città. Qui abbiamo incontrato Lorenzo, uno degli animatori tecnici dell’associazione, che ci ha spiegato come nel suo lavoro siano necessarie da un lato le competenze tecniche per potere insegnare alle famiglie come rifare la propria casa, dall’altro competenze di intervento sociale, necessarie ad accompagnare le persone in questi percorsi di emancipazione sociale ed economica;
  • Darwin Ecosystem, uno spazio multifunzionale nato all’interno di un grande complesso di archeologia industriale grazie al particolare rapporto di collaborazione tra la società proprietaria di uno degli immobili e il Think Tank Evolution, insieme a un gruppo di creativi che hanno deciso di trasformare quel luogo in ambiente multifunzionale improntato ai principi della transizione energetica e della sostenibilità ambientale;
  • Chahuts, il festival dell’arte della parola che si svolge nel quartiere Saint Michel. Il quartiere, situato nel centro della città e caratterizzato da un patrimonio artistico e architettonico di grande pregio, è anche storicamente uno dei più popolari e con un elevata percentuale di popolazione immigrata. A partire dal 2002 l’area è stata oggetto negli ultimi anni di un profondo restyling che ne ha mutato profondamente l’aspetto e le dinamiche di vita, nonché la tipologia di residenti. Le trasformazioni avvenute sono state oggetto di grande di dibattito in città, per via del pericolo dell’avvento di dinamiche di gentrificazione. L’organizzatrice stessa ci racconta delle resistenze incontrate nella realizzazione delle attività del festival da parte dei residenti, timorosi che si trattasse dell’ennesimo intervento generatore di uno stravolgimento delle routine di vita del quartiere. Il racconto dell’iniziativa è appassionante: laboratori teatrali, mostre, raccolte di pensieri e paure dei residenti, pranzi in piazza e rievocazioni del vecchio mercato che un tempo si svolgeva nella piazza piazza. La nostra interlocutrice ci racconta del rifiuto di accogliere il supporto della municipalità (nonostante l’associazione sia comunque alimentata da fondi pubblici). Le chiediamo perché, visti i timori degli abitanti, tali attività di partecipazione non siano state svolte prima o durante l’effettiva risistemazione della piazza, e la risposta è che se si ascoltano le paure dei cittadini si rischia di non riuscire a cambiare mai niente. A Saint Michel ci siamo passati più volte, nelle nostre passeggiate e spostamenti, e l’aspetto attuale è quello di un quartiere vetrina, delizioso nell’aspetto ma forse un po’ anonimo nonostante le chiese e i monumenti,  poco o nulla sembra avere conservato dell’originalità di un tempo;
  • Mediapilote, agenzia di comunicazione e partecipazione che si riallaccia alla lunga e consolidata tradizione partecipativa francese che comincia coi débat public degli anni ’90. Mediapilote si occupa di progettare e realizzare grandi progetti di partecipazione su tematiche principalmente collegate alle politiche urbane e alla salvaguardia dell’ambiente. Progetti talmente grandi che seguirne le tappe risulta complicato.

Insomma i giorni a Bordeaux hanno permesso di cogliere analogie e differenze con quanto si vede qua in Italia. Da un lato avere incontrato figure professionali nuove, come quelle dell’animatore tecnico o del giardiniere urbano è stato estremamente interessante. Sono profili che, adattando al mutare dei contesti e alle esigenze poste da modalità di intervento sempre diverse, reclamano la necessità di ibridare le competenze unendo a saperi e capacità tecnici e manuali, capacità relazionali forti, prese in prestito dal l’ambito dell’intervento sociale. L’innovazione emergente dall’esperienza sul campo poi trova spazio nell’ambito istituzionale visto che sia per quanto riguarda la figura dell’animatore tecnico che per quanto riguarda quella del giardiniere urbano c’è un impegno affinché queste vengano ufficialmente riconosciute come professioni. Altro aspetto importante riguarda la durata dei progetti all’interno dei quali tali figure si trovano a operare. In molti casi abbiamo incontrato interventi continuativi e full time della durata di 3-4 anni, orizzonte temporale che da la possibilità di conoscere veramente un quartiere e le sue dinamiche, di costruire con tranquillità le relazioni con gli abitanti, senza doversi preoccupare della scadenza del progetto al decorrere dei sei mesi, un anno che di solito caratterizzano i progetti italiani in questo settore. Il finanziatore inoltre non è la fondazione di turno, ma la municipalità o lo stato che ha al suo interno una linea di finanziamento specificatamente rivolta a quel determinato ambito d’intervento, aspetto che garantisce una certa continuità di intervento.

All’innovatività di figure professionali e modalità di azione ( i “chantiers d’insertions” per l’accompagnamento all’autocostruzione delle proprie abitazioni costituiscono una possibile soluzione  all’insanabile conflitto tra disagio abitativo, carenze di fondi, dinamiche di occupazione e condizioni di difficoltà economica e sociale di chi vive in periferia) non corrisponde però una maggiore riflessione e riflessività sulle attività svolte. Nei racconti dei nostri interlocutori  la dimensione sociale e storica dei quartieri fa fatica ad emergere, manca una problematizzazione del proprio operato in termini di risultati raggiunti, ostacoli, processi.

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Guardando alla città in scala macroscopica la varietà e molteplicità di esperienze partecipative realizzate o in corso perdono però di senso alla luce delle dinamiche di gentrificazione che hanno attraversato e attraversano la città e che seppure in modo latente emergono spesso nel corso dei racconti lasciando un velo opaco sulle realtà incontrate. Lo sguardo dall’alto permette però di costruire un quadro più chiaro su quanto sta avvenendo nelle grandi città europee e non solo. Si torna a casa con qualche dubbio in più rispetto al ruolo che la partecipazione dei cittadini gioca in questi contesti, se possa almeno in alcuni casi essere capace di inibire o mitigare le ineguaglianze all’interno della città, o avere unicamente una funzione consolatoria.

 

L’impegno e la responsabilità dell’estetica (Parte 2)

In questi giorni molti confronti e scontri si sono concentrati sull’estrema importanza (se non supremazia) che secondo Ciop&kaf possiede l’estetica delle immagini proposte da chi dipinge i muri di centri storici e città, di chi con colori e linee cerca di dare forma a particolari ossessioni personali che poi però inevitabilmente si mostrano nello spazio pubblico. È importante che non siano di “facile digestione” , che non ci si arrenda a ipocrite logiche consolatorie. “Ci si deve fare un po’ male a guardarle…”

Le immagini fin troppo inflazionate, la proposta di qualcosa che gli occhi di chi osserva si aspetta di vedere, rischiano di rendere sterili intenti artistici più istintivi, veri, autentici anche se magari meno comprensibili e immediati. Questa suggestione ci ha spinto ad affinare la riflessione su quello che un po’ succede nella nostra città e altrove, dove capita di camminare in quartieri complessi in cui opere commissionate e non hanno più o meno intenzionalmente cercato di riportare attenzione e luce su luoghi dimenticati. E poi ci stiamo chiedendo se le opere di street art debbano o possano davvero avere un intento di riqualificazione…in fondo in questi quartieri dove abbiamo camminato a brillanti colori e disegni sui muri si affiancavano con forza vivida condizioni abitative e di vita difficili, al limite, al confine. E allora se l’arte deve essere solo consolatoria, calata (anzi disegnata) sui muri delle proprie case priva di un progetto attorno più strutturato che sia davvero in relazione con chi vive quei luoghi, rispettandone anche la dignità e condizioni di vita, tutto rischia di diventare un parco giochi dell’arte di strada, forse un po’ inutile, sicuramente poco etico.

E anche se sull’utilità del dipingere in strada Ciop&kaf non lasciano spazio a dubbi affermando che di fatto tutto questo non serve, il loro lavoro non serve, o almeno non ha la funzione e la pretesa di produrre effetti sociali, se non la sola capacità di veicolare in forme e colori la profonda inquietudine e ossessione personale, noi crediamo che le azioni individuali e artistiche di questo tipo non possano non avere effetti sociali. Forse le immagini non avranno la forza di migliorare la vita di chi vive centri storici difficili come Napoli, Taranto e Palermo (sarebbe sbagliato pretenderlo) ma crediamo che progetti artistici compiuti come quelli di Ciop&kaf, continuativi e di autentica empatia con gli abitanti e gli spazi urbani abbiano la capacità di sprigionare energie sociali costruttive, di autoriflessione sulla propria condizione, e che questi effetti ineluttabili superino e siano fuori dal controllo delle intenzioni di un collettivo di artisti che non ha la pretesa di cambiare il mondo, ma forse proprio per questo, potrebbe riuscirci.

Street Art a Valparaiso per riqualificare un quartiere

A SgUarDi Urbani è da tempo che riflettiamo sul ruolo che può svolgere la Street Art come strumento di cambiamento sociale.

A gennaio 2014 abbiamo visitato il quartiere Molino-Polanco a Valparaiso che è stato rivalorizzato attraverso i murales dipinti sulle case del quartiere. In questo caso sono state le organizzazioni comunitarie finanziate dalle istituzionali locali e governative a portare avanti un progetto di riqualificazione del quartiere degradato, avendo come obiettivo la valorizzazione dei palazzi con alto valore storico e patrimoniale. L’intervento è iniziato con la pulizia di alcune aree e scale (quebradas) che erano diventate discariche ed è proseguito con la risistemazione delle strade. Il tutto è culminato con un evento che ha accolto noti Street artist di tutta l’America latina. Il risultato ha reso gli abitanti felici e fieri di abitare nei “cerros Molino e Polanco”. Chi prima si vergognava di abitare in questa zona degradata, oggi si vanta di quello che il quartiere è diventato.

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Murales nel cerro Molino. Fonte: Elizabeth Zenteno Torres

Uno dei possibili rischi che azioni di riqualificazione urbana di questo tipo comportano è quello della gentrification. Per gentrification s’intende l’espulsione delle classi popolari dalle zone che una volta riqualificate vedono il valore degli immobili aumentare e per questo non possono più permettersi di vivere dove hanno sempre vissuto. Ci riproponiamo di discuterne più approfonditamente in un ulteriore post, nel frattempo vi mostriamo il caso del quartiere Molino-Polanco. Sicuramente tra alcuni anni sapremo se l’intervento ha avuto effetti “gentrificatori” o meno.

Nel progetto la Ponticia Universidad Catolica de Valparaiso ha avuto un ruolo molto attivo. Su questo sito si possono trovare alcuni documenti interessanti del progetto.

Fonte: Elizabeth Zenteno Torres
Murales nel cerro Molino. Fonte: Elizabeth Zenteno Torres